L’imperfezione ci rende liberi,
capaci di rimediare ma pur sempre liberi di sbagliare.
Il passato non è come molti pensano solo ciò che è stato, bensì è una Densa invisibile e percettibile dimensione ancora esistente, è una quarta dimensione reale e presente nei nostri atti quotidiani. Un prete che confessa ma non assolve mai e ci colpevolizza e condanna ai nostri ricordi, alle nostre paure, ci forma e determina “giornalmente ” in base a ciò che siamo stati.
La liberazione da ferite e incubi, come anche da gioie ormai andate, nostalgiche e ambiziose è invece necessaria, è tecnologica.
Per riprodurre le realtà sulla tela vitale, è l emozione culminata nel sentimento che serve, che pulsa e che spinge.. e non più solo la tecnica del pensiero o del pentimento risentimento per le scelte passate, le quali devono cedere il passo a sua eminenza l’ Esistenza che può essere solo futuristica, conoscendo un unico moto per rivedere il passato, cicli e ricorsi storici che per potersi ripetere marciano sempre e cmq in un ‘unica direzione “andare avanti” comunque.
La nostra imperfezione denuncia costantemente la nostra distanza dal creatore è vero, ma ciò assevera la bellezza del movimento spaziale anche lontano dall’ umano agire.
Noi non siamo tutto il bello che c’è, dunque sì siamo capaci di rimediare, ma siamo liberi di poter sbagliare.
Amici e nemici miei è la visione matematicale che conta..ma non 1, 2, 3, 4, bensì riconoscere le sequenze numeriche i codici, i segnali che noi stessi ci inviamo nel tempo per ricostruire il futuro senza tossine, per mettere ordine.
Una sveglia è performante per svegliarci, ma non può unirci al resto del creato al mattino, come fa invece il vibrante cantare di un primitivo gallo, o anche il semplice tormento del reale.
Spesso sono gli sbarramenti di nero e chiaroscuro a emancipare la nostra imperfezione nel leggere i colori, un’ identificazione intuitiva e narrativa piena di sensualità seppur priva di vocaboli.
Liberi di essere, liberi di sbagliare, liberi di cambiare..e perché no di guardare altrove oltre noi stessi se necessario.
L’arte del sentire è traboccante, nitida e vivida deposizione di immagini crescenti.
Siamo in parte realtà in parte finzione, un lussurioso voyeurismo sfrontato fino al punto da dipingere una elegante cena formale proprio per ciò che è, come una mensa di ricchi diseredati dal sentimento..una realtà dell’ uomo attore e spettatore di sistemi di spersonalizzazione di ogni sua emozione perché imperfetta agli occhi del suo credere e dover essere per forza divini..
Atti e misfatti che sembrano per apparizione meramente formali ma invece sono sostanziali, sono l’ autoritratto di un uomo moderno egoico arraffatore di egoismi artificiali ma non illuminanti, un uomo che inizia e finisce con se stesso : Ci parla, si guarda, si chiama e richiama la nostra attenzione
” io sono questo, sono solo questo, un modello che denuncia lo stesso interrogativo per cui esisto, cosa ho fatto di divino per arrivare a definirmi..?!”.
Ha ragione, cosa abbiamo fatto per poterci definire?
Tutto cio non è triste ma è molto più, è umano e solo tanto vero, siamo colpevolmente innocenti nel non accettarci per ció che siamo e anche sbagliamo.
Carezze, ci vogliono nidi di carezze dal morbido piumaggio.
Aspiro a una nuova forma embrionale di società, connubio di capacità e ispirazione, copia fedele dell’ anatomia del creatore che traspone la rivoluzione cognitiva al tepore sensitivo..viva lo stupore anche in espressioni distanti per migliaia di anni, ma congiunte in poche note.. pittura e suono sono due testimonianze della stessa esperienza, l’ uomo come bagliore dell’ ideale di bellezza e non di materiale fattezza sinonimo spesso solo di divina tristezza.
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