Hanno ammazzato Pablo, no Pablo non è più vivo.
Hanno ammazzato Pablo, anzi no si è suicidato a dire il vero.
Attraverso l’antico meccanismo dove occorre un antefatto per giustificare e forse comprendere a pieno un grave atto, Pablo ha comunicato con il gesto più estremo una cosa forse ancora più appuntita, il suo dolore, la sua solitudine.
Eppure Pablo era in tempo reale on line, in onda, super socializzato sorridente con i figli, sembrava felice come sempre, e quando ci possiamo vedere sui social ci sentiamo tranquilli.
Lì capisci il trucco parrucco, di come una presenza ossessiva sui social sia passata da iper-esposizione per passare tempo il pomeriggio, a una super coltivazione clandestina delle nostre paure, insicurezze, che spesso fa da sedativo a un dolore che fa tremendamente male, quello vero però.
E mentre la socialità crea quotidianamente spot immaginifici secondo cui non puoi e non devi mai restare isolato, perché è pericoloso e anzi devi poter comunicare se hai un problema, un’esigenza, devi poter mostrare il tuo stato emotivo, vieni a scoprire che non hanno ammazzato Pablo, ma che Pablo non è più vivo.
Pablo non è più vivo, non è più con noi perché si è suicidato perché è rimasto solo con i suoi problemi, e la sua bacheca si è trasformata probabilmente in un muro dove poggiare le sue spalle e forse il suo animo ormai senza via d’uscita, senza il conforto che voleva e di cui aveva bisogno, perché i social ancora non hanno inventato un’emoticon per il suicidio, i social non prevedono la fine della vita come la intendiamo noi, al massimo hanno on line o off line, ma non prevedono la realtà.
Siamo chiusi pericolosamente in una cella cibernetica, abbiamo creato una dicotomia paurosa tra essere e apparire, il mondo è capovolto e non ha più il volto che aveva prima, il superficiale è visto in profondità e viceversa. Si è creato un Canyon dove il ponte che univa la sfera reale e virtuale si è rotto e l’uomo è rimasto separato a chiamarsi e farsi cenni da lontano, a guardarsi senza potersi però più raggiungere, toccare.
Siamo diventati noi i dottori, i filosofi, i giornalisti e cronisti delle nostre quotidianità, siamo noi le news, i ritrattisti o i pubblicitari di noi stessi. E siamo sempre noi che raccontiamo ciò che vogliamo sembri vero di noi e non ci spaventa che tutto questo, anche se finto, risulti reale perché la realtà è molto più spaventevole.
Siamo come i playmobil, cambiamo il caschetto e diventiamo il personaggio che vogliamo, siamo dei pupazzi nell’apparire.
Tutto questo è perfetto nel nascondere i vuoti e gli strapiombi reali, serve a darci uno spazio dove dimenticare che non siamo più felici, che ci trasciniamo come zombie, che la società moderna crea giornalmente schiavitù dal sapore antico, guarda avanti e chiama progresso il costringerci a lavorare sempre più ore e sempre con meno soldi e tempo per noi stessi, che siamo sempre più corrotti, rassegnati, soli con i nostri spazi sociali dove non è previsto dire che vogliamo morire.
Ma invece fuori dalle linee cibernetiche c’è un mondo reale, e questa è la ragion pura seguita dai poteri oscuri che sanno la verità, che sanno i motivi e i benefici di una cella virtuale, del creare uno spazio social dove poter isolare ogni cibernauta. Vogliono che pubblichiamo cose a cui guardiamo, che sogniamo e desideriamo, ma che non ci riguardano realmente.
Ti distraggono dandoti potere in un server tutto tuo ma che ti rende servo invece, perché cominci a trasmettere ciò che vuoi si pensi di te, perché abbiamo scambiato la vita reale con quella che vorremmo, quando forse siamo già diventati una larva.
Ci nutrono di psicopseudo-socialità da iper-presenza nel nulla, così da non farci chiamare a vicenda, da non vederci più, da non poterci confrontare, nessuno viene più a darmi una pacca sulla spalla, siamo la faccina che hanno preparato per noi per definire la nostra emozione liofilizzata con il fine di renderci tutti tristi o allegri allo stesso modo.
La mia è la prospettiva di un uomo volutamente non Socializzato, almeno secondo quanto richiestomi e ritenuto necessario dalle ragioni del signor Social che mi invita continuamente a migliorare le mie prestazioni, a rendere completo il mio profilo, mi chiede se voglio essere localizzato e parla per voi, dicendomi che i miei amici non mi sentono da un po’, non hanno mie notizie, e potrei essere più sociale.. e che se voglio posso essere protagonista e potrei andare in diretta come gli attori.. Ma Pablo è ancora lì sulla sua pagina con il suo sorriso e sembra vivo, come se non fosse accaduto nulla, perché nel mondo virtuale non è successo nulla se hai l’immagine sorridente, invece Pablo si è ammazzato, non c’è più e non è più vivo.
Alla socialità non servi come sei alla nascita, serve il risultato in cui ti trasformerà o ti ha già trasformato, il prodotto che ha confezionato, quanti nuovi socializzati hai generato e contattato nel tuo nucleo familiare, quanto guadagni e dunque quanto potrete consumare e spendere .. o quanto sospendere le vostre vite inseguendo ciò che vi dicono vi serva per vivere.
Io sì critico la Ragion pura dei social e la sua nutrice e nostra despota, ossia la smisurata ricerca di questa falsa socialità, volta a creare perfezione e miti, che sono tutti palesemente artefatti ma non certo “fattid’arte”.
E forse vi starete chiedendo, scrivendo anche io sul social, se stia comunque sputando sul piatto in cui mangio, ebbene vi dico che: “se la prospettiva di un uomo Socializzato moderno vuol dire rinunciare a se stesso impedendogli di essere vivo e reale quando è Offline, allora..
sì lo sto facendo.
Pablo non lo hanno ammazzato i social è vero, lo ha fatto lui da solo eppur potendo essere localizzato, contattato, postato, seguito e condiviso, .. già “condiviso” ..
Ah se lo avesse fatto sul serio però, se invece dei social avesse realmente “condiviso” il suo dolore..
forse e dico forse sarebbe ancora qui con noi.
E con questa riflessione vi saluto.
Buon ascolto o buona lettura come preferite.
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