In questa riflessione parleremo di uomini, parleremo di pane, parleremo di ignoranti del sapere, parleremo di qualcosa che molti probabilmente conoscono ma che pochi sanno coltivare, la cultura intesa come il fondamento del DNA dell’uomo, ma attenzione però non la cultura serva di un titolo, bensì la cura della propria vita attraverso la cultura.
Negli ultimi giorni, proprio questa settimana, ho sentito accademici e titolati dell’arte parlare di titoli usandoli come possibilità di differenziazione tra gli uomini in base a una laurea, all’ essere laureato o meno, ciò è scellerato, e forse questa è la vera laurea con 110 e lode in ignoranza, ossia quando la cultura ignora un uomo barattandone un titolo con il suo reale valore.
La cultura infatti non può mai essere una bandiera, un gradino di superiorità, o ridotta a una caratteristica fisica, quasi intellettiva, di cui spesso alcuni accademici si nutrono per sentirsi migliori, distinguersi e allontanarsi dagli altri uomini riducendoli in categorie inferiori. Non è concepibile poter misurare in assoluto la capacità o meno di fare e di capire il mondo di un soggetto con una laurea, perché così un titolo assume valenze pericolose, valenze di razza, di presunta superiorità.
Così si torna indietro all’ariano, al negro, allo xenofobo, con qualcosa in più rispetto al passato. Una volta vi erano gli acculturati e i poveri ignoranti che non potevano avere accesso alla cultura, adesso abbiamo un’ulteriore assurda distinzione tra il laureato e il non laureato, inteso come inferiore, una visione dalla povertà imbarazzante.
Seguendo tali distinzioni capacitative basate sui titoli da parte di esperti e accademici, il saggio, l’ anziano uomo della strada o il capo nei villaggi che ignorano forse la scienza dei libri o la storia occidentale, ma guidano egregiamente la propria gente secondo principi naturali, armonici, sarebbero da considerare ignoranti, e come li dovremmo considerare “inferiori”!?
E chi è titolato quando è portato invece fuori dal suo contesto ignorando come si viva nella giungla, come si cacci, come si sopravviva dove vi è poco, come in Alaska o nella Steppa, o che sa cosa siano le stelle attraverso i libri ma non saprebbe mai tornare a casa seguendole, pur essendo laureato, secondo questa visione sarebbe da considerare ignorante agli occhi di chi ne è capace invece, o forse acculturato parzialmente, o solo il Giovedì quando lavora, o colto solo quando è dentro i musei?
E’ sbagliato ridurre solo a se stessi e al proprio personale utilizzo e vantaggio il sapere, intendendolo come un titolo, un sapere appreso perché altri lo hanno condiviso, e non lo hanno tenuto per sé.
La cultura nasce dal sentire comune, e chi parla d’arte e si rifà a un titolo, dovrebbe ricordare che molti di coloro che ha studiato per una vita all’università, invece non avevano studiato pur creando grandiosità, erano ignoranti o meglio non laureati, persino briganti e spesso considerati falliti accademicamente parlando, uomini senza titolo ma capaci, e hanno cambiato il mondo.
Non sto criticando il titolo universitario ma gli sto dando il giusto valore.
La cultura attraverso le sue forme, la storia, la filosofia, la scienza come l’insegnamento del saggio non è altro che una, l’umanità, nella possibilità dell’uomo di condividere socialmente ciò che sa. Insegnante e studente non sono scindibili e sono legati uno all’altro da qualcosa che viene prima e più importante di entrambi, “l’insegnamento”, perché è insieme che questi rappresentano “l’ Uno conoscitivo”, il ponte illuminato capace di illuminare chi dà e chi riceve l’insegnamento allo stesso momento.
Ecco la cultura intesa prima che come bene sociale e societario, ancor di più come scoperta Tecnologica, il DNA e l’inizio di tutto. Il sapere esclusivo nelle accademie e nei salotti invece manca di un suo pilastro e non rispetta la sua essenza originale, non è raggiungibile, accessibile, contraddice la sua funzione esistenziale, portare luce, è da considerarsi parziale o meglio vero nei titoli ma privo di contenuti.
L’ Uominifico inteso così ahimè non sforna più pane e cultura ma forme di corrotti, sforna servi dei propri titoli e stendardi, ma la conoscenza e il pane sono buoni soprattutto se condivisi e condivisibili offrendone libero accesso a tutti, partecipazione e non esclusione.
Il pane e la cultura sono infatti un bene primario, la condivisione è culturale proprio come ci mostra il magnifico gesto dello spezzare un forma di pane, gesto che viene prima delle forme fisiche, le razze, i ruoli, cariche papi e regine si dà un bene per tutti.
L’uomo moderno invece tradisce questo principio confondendo se stesso con le cose che ha, parla dei suoi titoli dimenticando come dovrebbe governarli, dimenticandone dunque la ragione e la funzione, dimenticando che chi ha inventato il sapere lo ha fatto senza prima averne.
La cultura è sì certamente anche essere arrivati nello spazio o curare malattie, ma se manca però di un passaggio, “la cura della vita, il curare l’animo attraverso la cultura”, diventa un posto arido dove ci troveremo soli.
I pensieri, il pensare, così intesi non rifletteranno più sapere, ma beni, consumo, titoli per confermare apparenze e soprattutto appartenenze, politiche, societarie ma che non hanno niente a che vedere con il sociale.
Sarebbe come confondere un giro sulle montagne russe con una vita emozionante. La velocità, l’avventura, la scoperta, i propri limiti non hanno un biglietto e non durano tre giri al Luna Park, come neanche tre anni all’università ma una vita intera se sono veri.
Non bisognerebbe mai confondere la validità di un titolo con il suo reale valore, ed è seguendo questo principio che la Chiave Puentes non riconosce più i titoli solo in quanto tali, questi avranno valore seguendo le sequenze indubitabili, ossia vero farmacista è chi farà medicine e non solo chi venderà prodotti, dottore sarà chi cura la gente e non chi avrà il titolo dott. davanti al proprio cognome, maestro sarà chi sarà capace di insegnare e non chi saprà le cose ma non saprà trasmetterle, colto sarà chi non considererà per sé la cultura utilizzandola come fionda, muro o barriera stimabile, ma come un ponte per unire e da tutti fruibile e attraversabile.
E con questa riflessione vi saluto.
6 MINUTI D’AUDIO Riproducono la riflessione dell’articolo a voce alta, perché abbiano accesso all’ascolto i ciechi, chi lavorando non ha tempo o chi preferisce ascoltare, e quelli tra noi che pur avendo la vista sono diventati i veri Non Vedenti. Buon ascolto o buona lettura come preferite.
Foto in evidenza da me intitolata “Un titolo ignorante è un mostro razzista e pericoloso ” è opera mia.
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