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Essere incapaci di gestire la propria libertà

7 Gennaio 2018
https://www.lachiavepuentes.com/wp-content/uploads/2018/01/7-01-2018-la-fame-e-la-sete-online-audio-converter.com1_.mp3

“Non riesco più a provare emozioni, pur attraversando tutti i santi giorni la mia vita non riesco più a trovare la felicità a riconoscerla”, questo mi sono sentito dire oggi durante una conversazione.
Che fosse una donna o un uomo non fa differenza, il problema sono le sequenze sbagliate quelle fanno la differenza, le sequenze sbagliate fanno un percorso errato e ci conducono a non capire più nulla.
In verità abbiamo la libertà ma non la sappiamo usare, non sappiamo cosa farne. Chiamiamo le cose in maniera errata e siamo così abituati a sentirci dire cosa dobbiamo fare per essere felici che ciò che pensiamo e sentiamo noi, non ha più tanta importanza.
Non sappiamo gestire la libertà perché non sappiamo cosa vogliamo.
La maggior parte della gente quotidianamente si lamenta perché non ha tempo, poi però se ha un giorno libero, non sa comunque cosa farne, la libertà non va raccontata ma vissuta.
Amici e Nemici miei fondamentalmente non si sa quello che si vuole, non si hanno le idee chiare.. e mi chiedo come si faccia a perseguire l’obiettivo della propria felicità se non ci si impegni nel seguire una direzione.
Non rimuovendo gli ostacoli non ci può essere nessun percorso, e molti di noi gli ostacoli invece di rimuoverli li aggirano, e al posto dell’impegno nel risolvere i loro problemi hanno messo una scusa .. ognuno di noi crea scuse:
“Non faccio questo o per quel motivo, non posso, i figli, il lavoro, sono degli alibi perché realmente non vogliamo fare nulla per cambiare.”
Come vedere la cosa?! Se sia una questione di incapacità o di paura? Credo che sia questione di essere incapaci nel gestire la propria vita.
Siamo talmente abituati a non fare le cose in autonomia, che quando dobbiamo noi scegliere cosa fare, non lo facciamo dando le colpe agli altri che ci fanno fare le cose.
E’ un pò come quelle persone che per una vita hanno curato le malattie degli altri, ma poi quando si tratta del curare se stesse, il loro bene non riescono a farlo, non lo sanno vivere, non sono capaci, si illudono di poterlo fare ma non se la sanno godere la propria libertà, perché non l’hanno mai vissuta e dunque avuta in prima persona.
Occorre tornare alla semplicità, alle sequenze più giuste. L’uomo moderno invece è ancora molto legato ad istinti primitivi e continua a parlare di libertà ma lo fa attraverso prigioni e sbarre emotive, umori, pensieri volubili che un giorno ritengono di volere,  un altro vogliono desiderare, quello successivo credono di essere.
Crediamo ogni giorno di sentirci più completi possibile attraverso l’avere tutto, confondendo la quantità delle cose da provare con la semplicità della bellezza di alcune di esse, che da sole già comunque basterebbero a completarci.
Abbiamo perso la felicità perché abbiamo confuso e sostituito i sentimenti con delle esperienze sensoriali. Preferiamo infatti un’emozione liofilizzata, nutriente dal sapore finto ma sicuro, a un amore stupendo per quanto sofferto, così come avere una scusa per non fare ciò che si ama, è meglio di chiedere scusa per averci provato.
L’esigenza di consumare continuamente tutto e a ogni costo serve a coprire le nostre deficienze intime, i gap interpersonali, è diventata tutor e interprete di ciò che ci piace pensare di essere, ossia uomini completi perché hanno provato e divorato ogni cosa, subito e con voracità anche se senza gustarla..
Facciamo l’errore di essere il nostro Dio. Consideriamo le nostre esperienze negative o positive come se fossero tutto l’amore, la gioia, il dolore possibile da ricordare, condannare o cancellare per sempre, come fossero un pacchetto o un menu preconfezionato di sentimenti e che poi invece diventano nel tempo perenni emoragie, cicatrici o blocchi conservati nell’intimo come fossero un garage, come se i sentimenti fossero delle cose da accumulare, arraffare.
Viviamo continuamente il nostro essere come fossimo ad uno di quei buffet dove riempiamo il piatto di vita quotidiana con cose che non ci servono, che non vogliamo, di cui neanche conosciamo il sapore, ma che mettiamo lì nel tentativo assurdo di non volerci perdere niente, neppure un gusto.. convinti che sia meglio abbondare per sentirci completi, adeguati, non sentirci esclusi, o stupidi rispetto agli altri nel perderci qualcosa, fosse anche una sensazione magari .. ingozzarsi serve spesso a dimenticare che potremmo assaporare molto più del cibo nella vita.
Oggi è diffuso pensare che selezionare o decidere di fermarsi equivalga a perdere, dunque è preferibile persino buttare.
Così allo stesso modo riempiamo le nostre giornate con cose o esperienze invece che con sentimenti e più ci sentiamo completi e più scopriamo di essere appetenti.
Ma completi di cosa?! Anzi completi come e in che senso?!
Critico la “non ragion pura” dell’uomo moderno o di molti di noi che guardando l’orizzonte perdono di vista i propri piedi o guardano solo i propri piedi dimenticando però l’orizzonte, i sogni, perché entrambi fanno un cammino.
Critico una corsa assurda verso una completezza ambita come risposta alla propria insoddisfazione, più che come culminazione della propria felicità.
Critico questo modo smodato di considerare la semplicità come povertà, e la spasmodica ricerca di appagamento sensoriale dove sesso, denaro e potere spacciandosi per sentimenti, barattano continuamente anime e ingozzano le menti, facendone un quotidiano osceno mercato dove ricchezza è sinonimo di completezza, complessità è sinonimo di intelligenza..
e colui che segue un unico senso o il proprio corso con ordine e semplicità, è considerato peggiore e noioso rispetto a chi nella sua vita vuole provare l’ebbrezza di ogni cosa per paura di restare anche senza un solo niente..
forse lo scorrere dei fiumi pur essendo sempre in un senso e solo in un verso fin dall’inizio dei tempi, li ha mai resi scontati, noiosi, ottusi o limitati..non credo
E con questa riflessione vi saluto.

5 MINUTI D’AUDIO Riproducono la riflessione dell’articolo a voce alta, perché abbiano accesso all’ascolto i ciechi,  chi lavorando non ha tempo o chi preferisce ascoltare, e quelli tra noi che pur avendo la vista sono diventati i veri Non Vedenti. Buon ascolto o buona lettura come preferite.

Foto in evidenza da me intitolata “Essere incapaci di gestire la propria libertà ” è opera  mia.

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La Chiave Puentes

Conce G. Scardaci

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